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IMMAGINARE UNA REALTÀ INFINITA DI CUI LA NOSTRA REALTÀ È SOLO UNA PARTE; CONSIDERARE IL VISIBILE E L'INVISIBILE.

 
 

Nella pagina precedente abbiamo evidenziato una progressione che tende ad unire nella figura di Dio la molteplicità di figure umane che si osservano in basso.
Vedremo ora come, oltre a questo moto che procede dal basso verso l'alto, la composizione presenti una simultanea progressione che dall'alto scende verso il basso.

 
 

La calotta dorata alla sommità dell'affresco evoca un ampio spazio circolare che si estende idealmente oltre la parete dipinta verso l'alto. Scendendo, quella porzione di cerchio diventa un semicerchio (con il Cristo) il quale si trasforma poi nel tondo con la colomba (simbolo dello Spirito Santo) che si concentra infine nel piccolo tondo dell'ostensorio posto sull'altare.
Da un cerchio immenso e solo in parte visibile (simbolo della totalità nella quale è inscritta la figura di Dio) lo spazio procede verso il basso concentrandosi nell'ostensorio.

Si osservano così due moti contrapposti: un moto di elevazione delle contraddittorie figure sparse in terra verso un più ordinato semicerchio (santi e profeti) che poi diventa un quasi cerchio (il Cristo) ed infine una sfera (in mano a Dio) ed un moto di discesa da una totalità, suggerita dalla calotta dorata alla sommità, verso il quasi cerchio con Gesù (Dio che si fa uomo) che poi diventa un cerchio compiuto (lo Spirito Santo) per concentrasi infine nel piccolo tondo dell'ostensorio. Si contempla una progressione dalla terra verso il cielo ed una discesa dal cielo verso la terra. Con grande maestria nell'arte della composizione, Raffaello evoca in questo modo l'incontro degli uomini con la divinità.

La lettura dei quattro tondi in un’unica sequenza appare plausibile per il fatto che essi sono tutti dipinti di colore oro. Da quello più grande in alto fino a quello più piccolo in basso, l'energia dorata si concentra nell’ostensorio sopra l’altare, simbolo terreno del regno di Dio.

L'affresco mostra dunque una progressione dal molteplice verso l'uno (dal basso verso l'alto) ed una discesa dell'uno verso il molteplice. Per esprimere tutto ciò Raffaello usa contrastanti tensioni circolari che si aprono, si chiudono e si aprono nuovamente.

La parte bassa dell'affresco ha come punto di fuga l'ostensorio. Le rette parallele del pavimento e tutto lo scenario di figure umane convergono verso quel punto.
La zona di spazio mediana (santi e profeti) non sembra presentare alcun punto di fuga bensì ha come centro il tondo dello Spirito Santo che concentra in sé il semicerchio su cui si moltiplicano le dodici figure dei santi e dei profeti. Mentre tale semicerchio apre svelando le dodici figure, lo Spirito Santo richiude in sintesi per ribadire che santi e profeti da quel centro traggono ispirazione insieme ai contigui quattro libri dei Vangeli. Mentre il semicerchio di nuvole apre alla diversità di uomini santi, il tondo dello Spirito Santo li concentra in unità.

Si diceva della calotta dorata che alla sommità dell'affresco evoca un ampio spazio circolare che si estende oltre il dipinto. All'interno della calotta, si osservano delle linee che sembrano provenire dalle figure dei santi e dei profeti e continuare verso l’alto per incontrarsi idealmente in un punto che sta oltre l'immagine dipinta.

 
 

Il punto immaginario verso cui convergono quelle linee è il luogo in cui, sul piano della della composizione, l'affresco - soprattutto la parte medio-alta - trova una vera e propria sintesi o, se vogliamo, un suo "punto di fuga". Quel punto sembra sostenere dall’alto tutta la complessa struttura sottostante.
Scendendo lungo l’asse centrale, vediamo la trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo) sorretta da quel punto senza il quale la figura di Dio perderebbe tensione e concentrazione; il cerchio di Cristo e tutto l’apparato di nuvole con i santi ed i profeti sembrerebbero sospesi per aria. A me pare che quel punto invisibile sia fondamentale per conferire senso e dare vita all'immagine.

Secondo questa interpretazione, l’affresco mostrerebbe un’unità dalle sembianza umane, che rispondeva alle esigenze della committenza, ma - nel contempo - indicherebbe un’unità suprema che il pittore colloca al di fuori dello spazio dipinto quasi egli volesse dire che la vera unità resta un ente inafferrabile, invisibile e, pertanto, non rappresentabile.
Sembra quasi che il pittore abbia provato pudore nell'affrontare un'idea di totalità che fosse tutta interna all'immagine come aveva fatto qualche anno prima il suo maestro Pietro Vannucci (Il Perugino) nell’affresco L’Eterno con Profeti e Sibille realizzato per il Collegio del Cambio a Perugia. Ne La Disputa, che celebra le certezze sostenute dalla Chiesa,
sembra che Raffaello abbia voluto lasciare uno spiraglio aperto verso l’imponderabile.

Io non sono sicuro, tuttavia, che il pittore lo abbia fatto in modo consapevole. Credo, piuttosto, che egli abbia seguito il suo occhio e, solitamente, l’occhio di un grande artista può spingersi ben oltre i suoi consapevoli ragionamenti. Voglio dire che allo sguardo del pittore quel punto esterno era indispensabile in termini compositivi per conferire energia ed unità all'insieme. Nella veste di esecutore della commessa, Raffaello ha realizzato quanto richiesto dal committente e questo ne fu certamente soddisfatto ma, in qualità di artista, io credo che egli abbia intuito ed espresso nella sua opera più di quanto non gli fosse stato richiesto. Attraverso la forma un artista del Cinquecento ha espresso significati che noi oggi possiamo recepire come attuali mentre non possiamo più identificarci con storie, personaggi e credenze del suo tempo.

Torniamo ora al Broadway Boogie Woogie.

"Le rette non smettono di continuare." (Mondrian).
L'artista vedeva le rette come uno spazio infinito che si estende idealmente oltre il perimetro finito della tela; il dipinto come un catalizzatore dell'energia che fluisce e plasma tutte le cose e le rette ne sono espressione. Esse si manifestano sulla tela generando rapporti armonici per poi rifluire verso lo spazio reale del mondo di cui la tela è parte;
parte che vuole rappresentare idealmente il tutto.

Nella breve spiegazione del dipinto vediamo lo spazio virtualmente infinito delle rette trasformarsi in una superficie finita che unisce in sé i tre colori primari, vale a dire la sostanza dell'intero dipinto e di tutto ciò che con le rette va oltre il dipinto stesso.
Si tratta di un processo di interiorizzazione dello spazio fisico in uno spazio mentale.
L'unità del Broadway Boogie Woogie sarebbe quindi una nostra idea della presunta ma non verificabile unità dell'universo naturale (a cui allude la continuità delle rette) il quale non è pensabile nella sua incommensurabile estensione.

Perciò, come si è visto nell'analisi più dettagliata del dipinto, l'unità giallo-rossa-blu
si riapre alla molteplicità dei quadratini ed allo spazio infinito delle rette.
L'Uno si manifesta e poi rifluisce nel molteplice per riformularsi infinite volte nel tentativo di cogliere un tutto che mai si raggiungerà poiché infinito. Si tratta di un processo che tende all'unità ma che mai la raggiunge in forma definitiva.

 

 

Anche Broadway Boogie Woogie ci parla dunque di un’unità oggettiva, non rappresentabile nella sua totalità, che si rende temporaneamente visibile in forma di sintesi unitaria.
L’unità oggettiva corrisponde allo spazio delle rette che, come si diceva, evoca la totalità del mondo fisico reale, mentre la traduzione mentale e quindi finita di quello spazio infinito si genera dalle rette stesse che si uniscono sotto forma di quadratini, simmetrie e superfici in una sintesi ideale. Ciò che Mondrian chiamava "soggettivizzazione dell’oggettivo."

Nell’opera di Raffaello l’unità oggettiva (il punto esterno) sostiene e dà vita all’unità soggettiva (il Dio dalle sembianze umane), così come nel Broadway Boogie Woogie le rette (simbolo di infinita energia universale) danno vita all’unità visibile all’interno del dipinto. Sia Raffaello e sia Mondrian ci parlano quindi di un’unità invisibile e di un’unità visibile che dà forma concreta ma non esaustiva all’invisibile. Nel Cinquecento la rappresentazione soggettiva dell’oggettivo è un uomo barbuto che tiene in mano una sfera. Nel Novecento l’oggettivo soggettivizzato appare in forma astratta perché, nel frattempo noi non possiamo più credere ad un Dio uomo seduto in cielo. A mio modo di vedere, siamo di fronte a due immagini sacre poiché entrambe presentano un’idea di sintesi ed unità di tutte le cose, in altre parole, un’idea di Dio. Entrambe le idee di Dio sembrano plausibili per il tempo in cui si manifestano.

Nell’opera del Cinquecento l’unità oggettiva (il punto esterno al dipinto) e quella soggettiva (la figura del Dio Padre) sono entità fisse e restano separate e distinte.
Nel Broadway Boogie Woogie unità oggettiva (la continuità delle rette) ed unità soggettiva (la sintesi di giallo, rosso e blu) sono entità dinamiche e collegate fra loro da un processo che trasforma l'una nell'altra (le rette che diventano la superficie unitaria e questa che poi si riapre alle rette). Nel Broadway Boogie Woogie l’assoluto diventa relativo; l’oggettivo si fa soggettivo; l’eterno si fa quotidiano, l'esterno si fa interiore e poi tutto ciò ritorna all’eterno, all’oggettivo, all'esterno ed all’assoluto.

Ciò che Mondrian chiama "la vera realtà" (assoluta, oggettiva, eterna) diventa la "nostra realtà" (relativa, soggettiva, quotidiana) senza mai distaccarsi dalla "vera realtà".

 
 
 

In Broadway Boogie Woogie il molteplice si fa uno e poi l'uno si riapre e torna a farsi molteplice. Un processo in cui la fine coincide con un nuovo inizio evoca l’idea di un moto circolare. Una circolarità che, tuttavia, si esprime con delle linee rette. Una circolarità tanto ampia da apparire rettilinea; come l'orizzonte di un mare che in verità è tondo.

Ci vuole molto tempo (un tempo infinito come l’estensione di una retta) sembra dire Mondrian, prima di poter contemplare la circolarità che unisce tutte le cose.

Il tondo viene spesso utilizzato per esprimere l'idea di una sintesi assoluta, ma le forme circolari che noi possiamo dipingere su di una superficie non saranno mai così ampie come i processi della vita reale. In pittura le linee rette mantengono lo spazio aperto mentre le linee curve tendono a serrare e chiudere lo spazio in sé stesso.
Il pittore olandese usa linee diritte, vale a dire, un simbolo di spazio esteso ed aperto che sembra invitarci ad aprire la nostra mente; a non chiuderci subito in descrizioni, definizioni e giudizi che lascerebbero inevitabilmente fuori gran parte delle cose reali.

La geometria rettilinea del Broadway Boogie Woogie risponde ad un'esigenza di chiarezza ma, nel contempo, esorta ad aprirsi verso l’aspetto molteplice del mondo; contemplarne tutta la varietà senza, tuttavia, rinunciare a delle sintesi parziali e temporanee, vale a dire, mai assolute e definitive. Nella vita quotidiana è certamente molto difficile. Quanta paura suscita nell’animo umano aprirsi alla varietà e confrontarsi con la diversità. Ogni chiusura, ogni forma di intolleranza e di razzismo nascono dalla paura.

 
 
   
 

Con un Dio dalle sembianze umane Raffaello accontenta i suoi committenti ma, con un sapiente uso della forma, egli lascia uno spiraglio aperto e, consapevolmente o meno, con quel punto esterno all’immagine dice a noi oggi che quella loro idea di Dio non era ancora Dio. Cinque secoli dopo, l’artista olandese ci dice che ciò che noi chiamiamo Dio è una nostra idea di Dio e non già Dio in sé.

"Dio non è cattolico" mi disse Francesco in uno dei nostri incontri. "È ecumenico, è un unico Dio che ogni religione legge attraverso le proprie Sacre Scritture", sapendo però che il Dio è unico, non ha nome, non ha figura. (Così scrive Eugenio Scalfari di un suo dialogo con il Pontefice Francesco). L'unità del Broadway Boogie Woogie non ha figura. Poiché si esprime in forma astratta, l'unità del Broadway Boogie Woogie può rappresentare le diverse visioni di un unico Dio.

Tutti parlano di un solo Dio, ma ognuno cerca di imporre la sua idea di Dio. Oggi più che mai è necessario trovare un terreno comune.
Se Dio è uno ma le rappresentazioni di Dio possono differire, si pone un problema di comunicazione fra gli uomini che riguarda la mia, la tua, la sua idea di Dio.
Noi umani abbiamo la necessità di condividere ritualità comuni. Se tu lo chiami con un nome ed io con un altro, se tu rendi omaggio a Dio in un certo modo ed io in un modo diverso dal tuo, finiamo per credere che anche il Dio a cui rendiamo omaggio sia diverso. Noi ci lasciamo influenzare dalle apparenze e spesso confondiamo il soggettivo (la nostra rappresentazione dell’unità) con l’oggettivo (Dio in sé), il dato visibile con l’invisibile.

Bisognerebbe sempre ricordarsi del fatto che una cosa è Dio ed un’altra cosa sono le nostre idee su Dio. Come diceva, Kant noi possiamo conoscere solo la nostra rappresentazione delle cose e non già le cose in sé. Cambiare la nostra idea di Dio può forse voler dire cambiare Dio? E che Dio sarebbe un Dio che dipende dalle idee dell’uomo?
Equiparare il pensiero degli uomini a Dio, che secondo una certa definizione è immutabile, significa, in ultima analisi, sclerotizzare il pensiero. Perciò, forse, certe dottrine religiose faticano così tanto ad adattare le loro idee alla realtà dei tempi nuovi e sono così restie a rivedere ed aggiornare il modo in cui esse si fanno interpreti del divino. L’idea di Dio può cambiare poiché le nostre idee non sono più l’immanente e totalizzante misura del mondo, come si è creduto in passato.

Può essere vera un’idea di Dio che cambia nel tempo? La spiritualità Zen insegna a non fossilizzarsi sulle idee. Bisognerebbe forse immaginare Dio senza pensarlo.
Perciò io preferisco pensare ad una divinità in forma astratta. Certamente le idee e le parole hanno il loro grande valore: Il Sacro Verbo. Seguendo i fili del pensiero, la parola descrive, evoca, racconta e noi umani abbiamo spesso bisogno del calore di un racconto. Tuttavia, più si pensa e si tenta di descrivere Dio e più ci si allontana da Dio.
Penso alla leggenda della Torre di Babele: più gli uomini innalzavano la loro torre per avvicinarsi a Dio e più questi creava disordine con le lingue diverse che rendevano incomprensibili gli uni agli altri. Più l’uomo tentava di raggiungere e conquistare l’uno e più questo si apriva al molteplice. Come l’unità del Broadway Boogie Woogie.

Sono dunque le parole e le idee degli uomini ad allontanarci da Dio? In effetti là dove si enfatizza l’importanza della parola, la spiritualità spesso diventa un’opprimente regola morale. Ecco, forse questo è uno dei punti cruciali: può la spiritualità dell’uomo ridursi ad una serie di leggi morali?
Il sentiero che conduce a Dio in una forma libera da dogmi, rituali ed immagini preconfezionate e spesso obsolete è stato sempre ed è ancora oggi un percorso solitario e faticoso.
Con tutto il rispetto per certe istituzioni che hanno secoli di vita, io credo che fare oggi un uso moralistico di Dio sia un sopruso, un abuso ed una strumentalizzazione di Dio. Pretendere che una certa idea di Dio sia vera sempre e comunque significa mettere l’uomo e le sue idee al di sopra di tutto e, dunque, anche al di sopra di Dio. Gli uomini confondono ancora il Dio vero con la loro idea di Dio. I nostri contemporanei confondono ancora il soggettivo con l’oggettivo. Succede così che gli uomini ancora si facciano la guerra quando due diverse idee dell’unità oggettiva non corrispondono.

Quando si parla in nome di Dio, ci vuole tanta umiltà e rispetto per le altre idee di Dio che valgono quanto le nostre perché tutte sono soltanto delle rappresentazioni soggettive di una probabile ma non verificabile entità oggettiva. Non vi è alcun modo per stabilire quando una certa idea di Dio si avvicini alla presunta realtà oggettiva ma un criterio certo esiste per capire quando se ne allontana e ciò accade ogni volta che una certa idea di Dio cerca in tutti i modi d’imporsi sulle altre. La distanza da Dio si fa poi incolmabile quando, a tale fine, si ricorre persino alla violenza.

Nel Broadway Boogie Woogie cambia una certa configurazione dell’unità che si apre a nuove possibili configurazioni. Cambia l’idea, vale a dire, la realtà soggettiva ma non la realtà oggettiva, l’energia vitale che nel dipinto si esprime con delle rette virtualmente infinite e con i colori più vivi del mondo. Un’energia segreta ed irraggiungibile che genera noi, i nostri corpi, le nostre emozioni e le nostre idee. Idee che, proprio perché cambiano, si mantengono vive ed attuali e quindi idonee a rimetterci in sintonia con gli imperscrutabili “disegni” dell’ente oggettivo che sarà pure eterno ed immutabile ma, a quanto ci è dato di vedere su questo pianeta, è anche soprattutto un'inesauribile fonte di varietà.

Giallo rosso e blu sono i colori fra loro più diversi e contrastanti; nel linguaggio neoplastico essi sono un simbolo dell’infinita varietà del mondo.
Un'immagine in cui delle parti così eterogenee si equivalgono, fa pensare alla questione delle diversità in cui nessuna delle componenti pretenda di imporsi sulle altre.
Nel Broadway Boogie Woogie i tre colori primari si compenetrano e diventano un’unica entità pur mantenendo ognuno le proprie specifiche caratteristiche. Ogni parte contribuisce con la propria particolare natura all’equilibrio dell’insieme. Penso alle parole di Giovanni Paolo II quando diceva "le radici di ciascuno non sono cancellate nell’universalità."

Globalizzazione non può voler dire appiattimento delle diversità. Nel Broadway Boogie Woogie una vera e propria unità si dà nella sintesi ed equivalenza di tutte le componenti e non già nella sopraffazione di una sulle altre. Il processo dinamico che abbiamo osservato nel dipinto trova un momento di pausa solo quando tutte le componenti raggiungono l’equilibrio nella superficie unitaria. Il mondo non troverà pace fino a quando gli uni prevaricheranno gli altri precludendo a loro ed a se stessi equilibrio, armonia ed unità. Il paradiso in terra?

Occorre oggi pensare la complessità con il parametro dell’equivalenza e non più della simmetria o dell’eguaglianza. In un universo che si crede essere simmetrico la condizione per un’equivalenza di due cose diverse è la loro uguaglianza, cioè la negazione della diversità. Due cose diverse non saranno mai simmetriche od eguali ma possono acquistare uno stesso valore, vale a dire possono essere equivalenti. Lo spazio del Broadway Boogie Woogie non è simmetrico eppure ogni cosa, sebbene diversa nella forma e/o nel colore, vale quanto l’altra. Questo è uno dei segreti della geometria neoplastica che, a mio giudizio, potrà essere di grande ausilio nella ricerca di nuovi possibili modelli sociali e spirituali.

Ancora una riflessione riguardo al visibile ed all'invisibile nel Broadway Boogie Woogie:

 
     

La sintesi di giallo, rosso e blu che evoca unità presenta sulla destra un'area di colore bianco che ha le sue stesse misure e proporzioni.
In quella zona il "vuoto" (bianco) equivale al pieno (giallo, rosso, blu) e ciò contribuisce a rendere più equilibrato, stabile e duraturo il pieno. Ciò suggerisce equivalenza fra pieni e vuoti, fra visibile ed invisibile come se la materia concreta e visibile (l'unità di giallo, rosso e blu) scaturisse dalla materia- energia invisibile (il bianco). Il definito scaturisce dall'indistinto.

Bianco, grigio, giallo, rosso e blu costituisce un passaggio progressivo dal valore più chiaro, etereo ed indistinto (bianco) al valore più scuro, solido e definito (blu).
Attraverso i quadratini grigi, le rette gialle attingono dal bianco per poi raggiungere, attraverso il rosso, il valore opposto nel blu. Dall'invisibile (bianco) al concreto e ben visibile (blu).

Non mi sono preso la briga di eseguire una misurazione precisa, ma qualche cosa mi dice che la quantità dei quattro colori sommati fra loro equivale alla quantità del bianco od è ad essa di poco inferiore. Se il "pieno" rappresenta ciò che appare in modo evidente ai nostri sensi mentre il "vuoto" rappresenta ciò che noi non riusciamo a vedere ma che pure esiste e continuamente ci nutre, come non sentire la profonda saggezza e mestizia di una simile geometria; ciò che vediamo dipende anche da ciò che noi non vediamo.

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